#20 Produzione ceramica, additivi e riduzione dell'impatto ambientale
Indice
- 1. Premessa
- 2. Fase uno - Macinazione impasti
- 3. Fase due - Applicazione smalti
- 4. Fase tre - Stampa digitale
- 5. Fase quattro - Applicazione graniglie
- 6. Fase cinque - Ciclo di cottura
1. Premessa
La presente dissertazione intende rimettere a fuoco, da una prospettiva speciale e per certi versi provocatoria, il ruolo degli additivi utilizzati all’interno dell’intero ciclo produttivo ceramico: dalla macinazione delle argille che costituiscono la base dell’impasto ceramico fino al completamento dell’opera che si volge all’interno dei forni ceramici durante il ciclo di cottura. Dal principio alla fine. L’angolazione che utilizzeremo usa il filtro dell’impatto ambientale. La lettura che si offre prova a scalfire il preconcetto che la parola chimica porta spesso con sé e che la rende di frequente sinonimo di inquinamento, contaminazione, infezione. Senza voler in alcun modo sminuire o negare l’uso talvolta scellerato che alcune realtà produttive fanno di tecnologia e prodotti pericolosi, è pur vero che questo termine – chimica - può anche essere letto lontano dai pregiudizi della chemofobia, la convinzione irrazionale secondo cui tutte le sostanze chimiche siano dannose e nocive.
Se ci si avvicinasse con una lente di ingrandimento al mondo degli additivi chimici per la ceramica, ci si accorgerebbe che il loro presunto pericolo è sostanzialmente infondato e che, al contrario, essi possono talvolta veicolare – per quanto contenute e misurate – alcune migliorie sul piano ambientale che non dovrebbero essere sottovalutate se non addirittura disconosciute. Procederemo passo per passo lungo la traiettoria del ciclo produttivo, evidenziando all’interno di ciascuna fase i punti di forza riconducibili alle tematiche ecosostenibili e guardando molto in profondità come l’uso di determinati additivi possa a proprio modo dare un contributo positivo sul versante dell’impatto ambientale.
Una provocazione? Forse.
Una prospettiva al microscopio? Probabilmente.
Uno spunto di riflessione? Sicuramente.
2. Fase uno - Macinazione impasti
Gli impasti ceramici sono composti in larga misura da argille (più o meno plastiche) e materiali duri come i feldspati e le sabbie. Una volta selezionate, le materie prime vengono macinate mediante appositi mulini all’interno dei quali viene aggiunto, per rendere possibile il processo, un determinato quantitativo di acqua che, come è noto, unendosi al materiale solido va a costituire le barbottine. Queste ultime, per quanto possano possedere caratteristiche di volta in volta differenti, contengono di norma una percentuale di acqua che si attesta intorno al 35%. Una percentuale importante che i produttori cercano, con diversi escamotage, di ridurre a favore di un maggior quantitativo di solido.
Perché?
Terminato il processo di macinazione, la barbottina viene processata all’interno degli atomizzatori (spray dryer) in modo da perdere tutta la parte liquida – ad eccezione di un contenuto di umidità residua pari circa al 5/7% - e restituire solo ed esclusivamente la polvere atomizzata che andrà, sotto il peso delle presse, a formare il corpo ceramico crudo. L’eliminazione / evaporazione dell’acqua avviene grazie all’uso di fonti di calore violente e molto elevate che, com’è ovvio, sono motivo di alti consumi di energia: più alto è il contenuto di acqua, maggiore sarà l’energia da utilizzare con un conseguente maggiore impatto non solo sul piano ambientale ma anche su quello dei costi. Due ragioni sufficienti a direzionare le aziende produttrici verso l’uso di barbottine ad alta densità, cioè ad alto contenuto di solido e basso contenuto di acqua.
A ciò si aggiunga che la combinazione ‘più solido e meno acqua’ della barbottina, consente di produrre una maggiore quantità di polvere atomizzata (a parità di volume della barbottina all’interno dell’atomizzatore). In sostanza, e per riassumere, il minore quantitativo di acqua riduce da un lato l’impatto ambientale grazie alla riduzione del gas / energia necessario al processo di atomizzazione e aumenta dall’altro la produttività incrementando il volume di atomizzato prodotto.
In che modo gli additivi utilizzati in questa fase del processo produttivo possono coadiuvare la riduzione dell’impatto ambientale?
L’uso di opportuni FLUIDIFICANTI, oltre a rendere scorrevole e donare i giusti valori di viscosità alla barbottina così da consentire al processo di macinazione di svolgersi senza intoppi, permette implicitamente di ridurre il quantitativo di acqua all’interno della sospensione: la propria azione fluidificante, in altri termini, è direttamente motivo di riduzione energetica. Tale decremento può inoltre essere intensificato o in ogni caso rafforzato dall’uso di TENACIZZANTI TEMPORANEI.
Perché?
La resistenza meccanica delle piastrelle in crudo deriva quasi interamente dalla presenza all’interno dell’impasto di argille plastiche che al contempo, tuttavia, sono (o possono essere) le principali responsabili della difficile fluidificazione dell’impasto. Le argille plastiche, infatti, inglobando al loro interno importanti quantità di acqua costringono i produttori ad aumentare l’apporto di acqua all’interno del sistema (la barbottina) al fine di far scorrere meglio le micelle argillose. Un’eccessiva riduzione di argille plastiche – che potrebbe essere utile ad aumentare la densità della barbottina grazie al parallelo decremento del volume di acqua – è tuttavia sconsigliabile e per certi versi non praticabile se non si vuole intaccare i valori di resistenza meccanica delle piastrelle in crudo. Un equilibrio piuttosto delicato. Ecco che però l’uso di tenacizzanti temporanei consente di riequilibrare il contesto produttivo contribuendo a ridurre l’impatto ambientale. Come?
- Ripristino delle caratteristiche meccaniche utili ad evitare rotture del corpo ceramico
- Contestuale riduzione nell’uso di argille plastiche
- Parallelo aumento della densità e conseguente riduzione dell’apporto di acqua
- Che si tramuta in una riduzione del consumo energetico (e in un amento della produttività)
3. Fase due - Applicazione smalti
PREMESSA
Gli smalti ceramici possono essere applicati utilizzando diverse metodologie ma certamente i sistemi di sprayatura (cabine airless dotate di cannette) risultano ad oggi i più diffusi. Se da un lato tale scelta risulta estremamente pratica e per certi versi semplice sul piano applicativo, può risultare critica se la si guarda dalla prospettiva degli sfridi (spreco di materiale) e della delicata gestione e manutenzione della macchina da parte degli operatori di linea.
In che senso?
La cabina di sprayatura deve essere dotata di sistemi di aspirazione molto potenti in grado di raccogliere e recuperare quello che in gergo viene definito over spray e che potrebbe diffondersi nell’ambiente di lavoro così come all’interno della cabina, dove potrebbe essere motivo di incrostazioni e gocciolature. Si stima in questo senso che il materiale raccolto dal processo di aspirazione – materiale scartato e non recuperabile – si attesti tra il 15% al 30% dello smalto (o engobbio) utilizzato in applicazione. Questa percentuale comprende anche lo sfrido che corrisponde al materiale perso all’interno della cabina che di norma (ottimisticamente) viene lavata ad ogni turno di lavoro. Il materiale sprecato è ovviamente sinonimo di impatto ambientale.
Unitamente a questi temi che afferiscono esclusivamente ad aspetti legati agli sprechi, l’applicazione ad airless porta con sé anche altre interessanti criticità, tutte sanabili, ma che occorre tenere in considerazione se non si vuole incidere negativamente sul corretto svolgimento del processo e sul prodotto ceramico finito. La gestione della macchina e il deterioramento degli ugelli di sprayatura ricoprono, sotto questa prospettiva, un posto di grande rilievo. Gli ugelli, infatti, nel corso del tempo tendono ad allargare il proprio diametro andando ad aumentare il peso applicato sulla piastrella, contribuendo ad aumentare da un lato lo spreco di materiale e a compromettere dall’altro il risultato finale della piastrella sulla quale lo smalto viene applicato in modo non conforme. La loro momentanea ostruzione può inoltre creare importanti problemi di resa, cioè il quantitativo di materiale conforme che entrerà nei forni. Da non dimenticare infine le possibili gocciolature di smalto sulle piastrelle, qualora le cabine non venissero sottoposte a regolari cicli di lavaggio: lo smalto liquido che rimane sulle pareti interne alla cabina può staccarsi e dunque danneggiare il prodotto finito generando scarti.
Come gestire queste problematiche e, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con l’ambiente?
Andiamo per gradi e partiamo da una prospettiva a più ampio raggio.
In tempi recenti, diversi produttori di macchinari si sono affacciati sul mercato con nuove tipologie di smaltatrici che si basano su logiche e modalità applicative fortemente innovative. Tra le varie peculiarità di cui questi nuovi dispositivi sono dotati, le più significative riguardano la possibilità / capacità di depositare lo smalto sul supporto ceramico in modo puntuale (potremmo dire capillare e millimetrico), riducendo drasticamente gli sfridi e offrendo al contempo una gestione automatizzata del mezzo (come avviene con le stampanti inkjet) grazie alla presenza di sistemi di controllo e automazione.
IL RUOLO DEGLI ADDITIVI
Come è già avvenuto in passato per i sistemi applicativi tradizionali e oggi ampiamente sdoganati (airless, vela e campana), anche con questa nuova tecnologia è importante definire preventivamente i parametri che lo smalto deve avere per ottenere la miglior performance in base al layout di linea del produttore. In base alla tecnica di deposizione dello smalto sul supporto ceramico è in altri termini necessario uno studio approfondito di tutti gli aspetti correlati alla reologia, alla tensione superficiale, al pH, etc., e sotto questo profilo il ruolo degli additivi – siano essi tensioattivi, modificatori reologici, bagnanti di substrato, lubrificanti o disperdenti – è di certo determinante. Benché questo sia cosa nota, forse è meno scontato sottolineare le implicazioni di natura ambientale che gli additivi utilizzati in questa fase del processo produttivo sono in grado di promuovere e agevolare. L’affidabilità della nuova tecnologia di smaltatura in concerto con l’ottimizzazione dello smalto conseguita mediante l’uso di opportuni additivi (appositamente studiati per il nuovo sistema applicativo) favorisce, infatti, una continuità produttiva che permette di applicare sulla piastrella cruda una minima quantità di smalto eliminando gli sfridi (spreco di materiale) e riducendo la manutenzione di pulizia della macchina (spreco di acqua). Parametri riconducibili al tema ambientale. I tempi di lavaggio delle strumentazioni unitamente alla quantità di acqua consumata, infatti, possono avere un impatto decisamente negativo sia sulla produttività che sull’ecosistema.
L’ACQUA: RIDUZIONE DEI QUANTITATIVI DERIVANTI DALLE APPLICAZIONI DI SMALTERIA
A parte la tecnologia applicativa, come possono gli additivi intervenire lungo la linea di smalteria al fine di ridurre i quantitativi di acqua all’interno del processo, riducendo così l’impatto ambientale?
L’applicazione di smalto ceramico, essendo esso costituito da una sospensione acquosa, implica inevitabilmente un importante uso di acqua che viene deposta sulla superficie della piastrella cruda e che in parte viene assorbita dal supporto e in parte evapora a causa del calore/temperatura della piastrella cruda che ha precedentemente stazionato all’interno degli essiccatoi. Temperatura che, oltre ad innescare il processo di parziale evaporazione dell’acqua è anche funzionale a migliorare la stesura dello smalto sul supporto.
La parte di acqua assorbita dalla piastrella dovrà poi essere ovviamente espulsa in una delle ultime fasi del processo produttivo: nella fase di preriscaldo all’interno dei forni. Un processo di espulsione che (esattamente come avviene all’interno degli essiccatoi) implica un importante uso di energia (evaporazione = energia). A maggiore quantità di acqua assorbita dal supporto di norma corrisponde un maggiore tempo di permanenza del materiale ceramico nella fase di preriscaldo e, in ogni caso, un maggiore consumo di energia (cioè di gas) per far evaporare l’umidità residua in eccesso, promuovere un rilascio graduale e calibrato ed evitare rotture violente del materiale. Fatta questa premessa, è possibile aggiungere che se si riduce l’acqua applicata in linea di smalteria sarebbe potenzialmente possibile ridurre, in alcuni casi sia la temperatura dei pezzi all’uscita dagli essiccatoi (riducendo già in questa fase il consumo di energia) che, come appena dichiarato, l’energia utilizza all’interno del forno (con una seconda ed ulteriore diminuzione dell’impatto energetico).
Andando a ritroso e seguendo il filo della tematica green, cosa si può dunque fare per ridurre la quantità di acqua usata per smalti o engobbi?
Per ottenere le medesime performance applicative, la riduzione di acqua in applicazione deve andare di pari passo con un aumento della densità degli smalti (o degli engobbi) e per far sì che questo accada è necessario procedere con uno studio approfondito degli additivi da utilizzare: sia in fase di macinazione che in fase applicativa. In particolare, in fase di macinazione sarà necessario procedere con FLUIDIFICANTI e LEGANTI, in proiezione dell’ottenimento di una più alta densità di applicazione in linea rispetto agli standard in uso. Prevedere in sostanza quello che si svilupperà lungo la linea di smalteria. Una volta azionate le giuste leve già in fase preparatoria (macinazione), si può agire per ridurre i quantitativi di acqua che sempre si aggiungono in linea anche in fase applicativa mediante l’uso di LIVELLANTI e/o di altre tipologie di additivi in grado di agire sui tempi di asciugamento e drenaggio così come sul buon livellamento dello smalto sul supporto. In sostanza, l’azione di queste famiglie di additivi – la cui formulazione e dosaggio deve come sempre tenere conto della tipologia di smalto e dei parametri applicativi - modula e condiziona la performance dello smalto, facendo sì che uno smalto ad alta densità possa promuovere in fase di applicazione gli stessi eccellenti risultati di questo stesso smalto con un più alto contenuto di acqua.
4. Fase tre - Stampa digitale
Per questa sezione si faccia riferimento all’episodio del podcast e al testo della sezione “Lo sapevi che?” dal titolo: Colle digitali a base acqua e produzione ceramica: quali vantaggi? Episodio in cui si sviscerano nel dettaglio tutti i vantaggi, anche di natura ambientale, promossi da questa tipologia di prodotti.
5. Fase quattro - Applicazione graniglie
Procediamo in questo caso partendo da una lunga premessa utile ad inquadrare il tema e a rendere maggiormente chiaro il senso del ragionamento.
Il vertiginoso sviluppo tecnologico che l’industria ceramica ha saputo promuovere nell’ultimo decennio ha permesso di moltiplicare in maniera esponenziale quello che un tempo erano solo “desideri in potenza” e che oggi si sono concretizzati in nuove e raffinatissime possibilità produttive. Basti solo pensare ai grandi formati e agli alti livelli di decorazione resi possibile dalla tecnologia digitale. In particolare, se ci si focalizza sulla proposta estetica promossa dai produttori è innegabile la presenza di due importanti temi che sembrano, tra tutte le alternative possibile, dominare la scena: il legno e il marmo.
APPLICAZIONI A UMIDO
Ad esempio, la produzione di quest’ultima tipologia di materiale – che per essere in tutto simile al materiale originale/naturale deve passare dopo cottura sotto le mole delle macchine levigatrici o lappatrici – comporta la creazione di un vetro superficiale dall’importante spessore (spesso superiore ai 300 micron) così da poter essere parzialmente asportato e sviluppare quell’effetto specchiante tipico dei marmi veri. La creazione di questa tipologia di vetro – nobile, dura, trasparente e resistente – avviene mediante l’uso di graniglie o fritte macinate sospese in acqua (slurry) e con l’aggiunta di appropriati ADDITIVI ORGANICI che ne consentano una corretta applicazione per mezzo di sistemi ad airless: corretta nebulizzazione, opportuno asciugamento sul supporto ceramico crudo, azione livellante e potere legante. Solo per citare i principali.
IL RUOLO DELL'ACQUAAl fine di garantire una corretta bagnabilità delle graniglie vetrose, oltre all’uso di opportuni ADDITIVI BAGNANTI E DISPERDENTI, è indispensabile la presenza di un’importante quantitativo di acqua.
Perché?
Esiste un limite oltre il quale un basso contenuto di acqua, infatti, non consente un corretto scorrimento della graniglia all’interno della sospensione, sia dentro ai sistemi di trasporto (i tubi che collegano le vasche contenenti la slurry alle cannette di sprayatura) che in fase di scarico dai nozzles. Ovviamente, un’importante presenza di acqua è per altro funzionale al conseguimento di bassi livelli di viscosità, necessari per una corretta nebulizzazione. Entrando un po’ più in profondità e volendo dare indicativamente dei numeri a solo titolo di esempio, possiamo affermare che una quantità adeguata di slurry che preveda una successiva fase di levigatura è di circa 1kg per m2 (di cui 500/600 grammi di graniglia e 500/400 grammi di acqua e additivi). Tale quantitativo non può essere di norma aumentato in quanto l’eccesso di acqua potrebbe far emergere problemi in fase di preriscaldo come l’esplosione del materiale o anche solo costringere i produttori ad aumentare i tempi di permanenza del materiale all’interno dei forni. Opzione che va in rotta di collisione con gli obiettivi di produttività industriale.
Dal punto di vista dei costi aziendali e dell’impatto ambientale, l’apporto massivo di acqua sulla superficie della piastrella può condurre alle seguenti problematiche:
- Mantenimento di una elevata temperatura della piastrella lungo l’intera linea produttiva così da promuovere una migliore evaporazione dell’acqua (della slurry) e ridurre l’assorbimento di acqua da parte del supporto ► aumento dell’energia spesa per il mantenimento della temperatura
- Presenza all’interno dei forni di materiali ad alto contenuto di acqua con il conseguente aumento di consumo energetico per portare correttamente a termine il processo di evaporazione
- Aumento dei tempi di produzione in fase di preriscaldo
È possibile migliorare mediante l’uso di appropriati additivi questo stato di cose per diminuire l’impatto ambiente?
IL RUOLO DEGLI ADDITIVI
In linea generale, esattamente come è già stato evidenziato nella fase 2 (applicazione smalti), anche in questa fase della filiera produttiva l’uso di MEDIUM PER GRANIGLIE così come di LIVELLANTI e FLUIDICANTI consente di agire sui livelli di densità e dunque sul contenuto di acqua. Vediamo, in questo caso, un po’ più da vicino il principale tipo di azione che sprigionano gli additivi coinvolti, veicolando i risultati desiderati anche in presenza di un minor contenuto di acqua.
Che cosa fanno?
In parole molto semplici: se da un lato alcuni composti o sostanze chimiche reologiche presenti in formulazione sono prettamente di tipo non associativo nei confronti delle graniglie e delle altre materie inorganiche, vi sono in formula anche altre sostanze capaci di aumentare la bagnabilità del sistema (cioè della sospensione di graniglia) anche in carenza di acqua. Questa doppia azione, che si concretizza in una minore interazione delle particelle in sospensione, è funzionale a rendere ottimale lo scorrimento delle graniglie. Le particelle vetrose, infatti, sono elettricamente attive e tale caratteristica le espone ad una forma di attrazione / interazione tale da ridurne la mobilità in sospensione e da compromettere inevitabilmente il processo. Gli additivi utilizzati, tra le altre loro proprietà, hanno esattamente la capacità di schermare o isolare le particelle limitando le interazioni in fase sospesa e rendendo possibili applicazioni a basso contenuto di acqua e dunque a ridotto impatto ambientale.
APPLICAZIONI A SECCO
Come sappiamo unitamente alla tecnologia ad airless, la graniglia può anche essere applicata con tecnologie a secco che implicano una preventiva applicazione di colla (sia digitale che analogica) ed una eventuale seconda applicazione di un basso peso di colla di fissaggio, una volta che la graniglia è stata già deposta e incollata sul supporto.
Un processo, dunque, che si sviluppa secondo tre fasi:
- Applicazione di colla liquida
- Applicazione di graniglia a secco
- Applicazione (eventuale) di un basso peso di colla
Tali modalità applicative, oltre ad alcuni vantaggi tecnici, sono anche promotrici – per loro stessa natura – di alcuni interessanti vantaggi sul piano ambientale. Il più significativo afferisce alla sensibile diminuzione dell’apporto di acqua:
- La graniglia non è in sospensione e dunque la parte liquida è sostanzialmente inesistente (non si parla di slurry)
- La quantità di colla preventivamente applicata (prodotto di derivazione naturale in acqua) si attesta su quantitativi che oscillano tra i 200 e 300 gr/mq e dunque davvero modesti
Questo, come ormai abbiamo già visto nei casi precedenti, si riflette sul consumo di energia che risulta inevitabilmente inferiore con un minore impatto sull’ambiente circostante.
IL RUOLO DEGLI ADDITIVI
Se l’applicazione a secco favorisce per sua stessa natura, grazie ad un più modesto uso di acqua, un impatto ambientale inferiore rispetto a quello promosso dal processo a umido, è anche vero che la corretta formulazione degli additivi usati all’interno del processo può contribuire ulteriormente al contenimento degli effetti che la produzione industriale può avere sull’ambiente.
In che modo?
Mediante lo studio e lo sviluppo di opportune formulazioni di colle che, oltre ad essere performanti sul piano tecnico, tengano in considerazione il loro impatto in fase di combustione. Questo avviene in larga misura con la riduzione massima nell’uso di sostanze organiche e nella scelta opportuna dei composti chimici. In questo senso la formulazione della colla, e lo vedremo meglio nello step successivo, deve basarsi su molecole in grado di sviluppare un adeguato potere legante e di promuovere al contempo un processo di combustione ottimale. Quindi, in questa fase del ciclo produttivo, si creano le premesse per ridurre nello step successivo l’impatto prodotto dai forni ceramici.
6. Fase cinque - Il ciclo di cottura
La fase di cottura è certamente quella più energivora dell’intero processo produttivo ceramico e al contempo è quello maggiormente legato al tema delle emissioni di sostanze inquinanti e in particolare di CO2. Tutte le operazioni esposte nella disamina qui proposta (o comunque la maggior parte di esse) sono sostanzialmente tese proprio alla riduzione delle emissioni in atmosfera e al contenimento dei consumi energetici che si sprigionano in quest’ultima ed importantissima fase del processo produttivo. Una riduzione dei consumi che, se da un lato rinforza l’abbassamento dell’impatto ambientale porta indiscutibilmente con sé, come abbiamo visto, anche importanti vantaggi in termini di produttività. Di fatto, il la riduzione di cui si è sino ad ora parlato si concretizza – in larga misura – esattamente in questa fase.
Quali sono le principali leve su cui si va ad agire?
- PERCENTUALE DI UMIDITÀ O ACQUA RESIDUA NEL PEZZO CERAMICO AD INGRESSO FORNO
Deve essere la più bassa possibile. L’acqua inglobata all’interno del pezzo nel momento in cui entra nel forno porta con sé due ordini di problemi. Nel caso in cui il gradiente di temperatura non fosse calibrato e costante potrebbero svilupparsi all’interno del materiale fenomeni di pressione, espansione ed infine scoppio della piastrella (si veda a tale proposito l’episodio #01). Per far sì che l’acqua evapori gradualmente lasciando in modo non traumatico il corpo ceramico è pertanto fondamentale gestire in modo calibrato i tempi di permanenza che inevitabilmente agiscono sul consumo energetico e sulla produttività.
- QUANTITÀ E TIPOLOGIA DI SOSTANZE ORGANICHE PRESENTI NEL CORPO CERAMICO
Il modo in cui si dispiega il processo di cottura influenza fortemente le tipologie di gas (molecole organiche) che si producono in fase di cottura e precottura che confluiscono in atmosfera. Ciò implica che non solo le componenti chimiche ma anche i parametri e il set-up del forno sono determinanti nel conseguimento delle migliori condizioni ed equilibrio tra energia in gioco ed emissioni.
Che cosa significa?
Esattamente come avviene nel caso di automobili di vecchia generazione, o automobili non carburate, anche i forni ceramici di vecchia generazione, o queli gestiti in modo non opportuno per sviluppare al meglio una cottura ottimale, sono responsabili di un maggiore consumo di energia e di una combustione non ottimale con il conseguente aumento di sostanze organiche e CO2 in atmosfera. Ciò detto, a parità di condizioni impiantistiche risulta fondamentale l’uso di una CHIMICA che riduca al minimo le emissioni inquinanti e odorigene in atmosfera e che quindi sia il più possibile affine al processo di cottura dei forni ceramici; forni che prevedono un sistema di controcorrente dalla zona di massima temperatura (1200°C) alla zona di ingresso forno (dove è presente il camino). Questa corrente "contraria" fa sì che le sostanze organiche si decompongano ed arrivino a camino "semi-combuste": è proprio su questo concetto che i laboratori chimici lavorano per la corretta scelta e lavorazione di composti in grado di ridurre al minimo la formazione di molecole semi-combuste impattanti a livello ambientale.
A solo titolo di esempio, esistono alcune tipologie di molecole organiche (additivi organici) che per loro conformazione strutturale sono capaci di degradare termicamente in fase di precottura dando prevalentemente origine a CO2, a piccole quantità di aldeidi, acidi organici e molecole ad alta soglia olfattiva (percepibili solo ad alte concentrazioni). In un’ottica green sarebbe fortemente consigliabile l’abolizione, o quantomeno la riduzione, di molecole che in fase di degradazione danno origine ad altre molecole fortemente nocive come, ad esempio, i composti aromatici o i derivati del benzene.
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