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#19 Applicazione di smalti ceramici: metodi, reologia e additivi sintetici

Indice

  1. 1. Premessa
  2. 2. Ad ogni scenario un'additivazione specifica 
         a) Applicazioni a vela e campana
         b) Applicazioni a spray
  3. 3. Microorganismi e degradazione degli additivi
  4. 4.  Azioni preventive e correttive: lo standard
  5. 5. Il nuovo scenario: gli additivi sintetici
                     
     

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1. Premessa

Tra le diverse criticità a cui i produttori di materiali ceramici devono quotidianamente far fronte, la degradazione microbiologica di smalti ed engobbi è certamente una delle più frequenti e insidiose. Sia gli uni che gli altri vengono di norma macinati all’interno di appositi mulini tipo Alsing e additivati con FLUDIFICANTI e CMC (Carbossimetilcellulose) che assicurano il corretto svolgimento del processo e che conferiscono allo smalto o all’engobbio le giuste caratteristiche necessarie alle successive fasi di lavorazione. Talvolta, però, sia i fluidificanti che le CMC possono trasformarsi in una fonte di nutrimento per i batteri che, mediante la loro azione, degradano lo smalto rendendo del tutto inefficace l’azione degli additivi.

 

 

2. Ad ogni scenario una specifica additivazione

Facciamo un passo indietro e passiamo in rassegna gli scenari applicativi più significativi in quanto l’additivazione, come da prassi, varia non solo in base alle caratteristiche dello smalto ma anche in funzione dei parametri produttivi della linea come, ad esempio, la densità di lavoro, la reologia dei materiali coinvolti o la modalità applicativa.

 

APPLICAZIONI A VELA e/o CAMPANA

A solo titolo d’esempio, uno smalto destinato ad un’applicazione a vela o campana dovrebbe di norma essere additivato con prodotti che consentano di lavorare ad alte densità d’esercizio (1700 / 1850 g/l a 25°C) e di conseguire al contempo un alto livello di coesione all’interno del sistema acquoso così da ottenere una caduta omogenea e compatta dello smalto sul supporto ceramico crudo. Questo significa procedere di norma con un alto livello di fluidificazione, un uso di CMC a media o alta viscosità e con quantitativi di volta in volta studiati per promuovere un asciugamento dello smalto che sia idoneo ad un’applicazione multipla, cioè ad un’applicazione in successione di engobbio e smalto per mezzo di due macchine applicatrici (siano esse due campane o due vele). In sostanza, l’engobbio applicato con la prima macchina deve asciugarsi sul supporto immediatamente (o poco) prima dell’arrivo della piastrella in corrispondenza della successiva applicazione di smalto così da assicurare la massima integrazione e intimità tra i due strati che si sovrappongono. Il discorso sarebbe ovviamente diverso nel caso di un’unica applicazione di smaltobbio.

 

 

APPLICAZIONI A SPRAY

Viceversa, un’applicazione di smalto a media densità (ad esempio a 1450 g/l a 25°C) per mezzo di sistemi a spray, necessita – in fase di macinazione – di un’additivazione che ne permetta un utilizzo a più bassa densità e viscosità. In questo caso, per evitare fenomeni di sedimentazione da un lato e mancanza di coesione dell’altro, si tende a procedere con una fluidificazione meno spinta (che tradotto significa lavorare con uno smalto non eccessivamente fluidificato) e un utilizzo di CMC con viscosità tali da conseguire una buona stesura in base al tipo di smalto utilizzato (1) e alla temperatura della piastrella (2).

 

Che cosa significa?

 

 

(1) LO SMALTO

Le CMC possono essere connotate da proprietà talvolta molto diverse ed è importante fare una scelta opportuna in base alle caratteristiche dello smalto implicato nel processo produttivo. In presenza di uno smalto molto plastico (e dunque di uno smalto i cui valori di viscosità e coesione sono già intrinsecamente alti) sarebbe ad esempio opportuno utilizzare una CMC a bassa viscosità o, eventualmente, diminuire il dosaggio. Uno smalto estremamente magro, cioè poco plastico (povero di argille) richiederebbe al contrario CMC con viscosità più elevate così da garantirne una corretta coesione e un appropriato asciugamento sulla piastrella.

 

(2) LA TEMPERATURA

In termini generali, sia la tipologia di CMC selezionata che il quantitativo utilizzato possono agire sui tempi di drenaggio ed evaporazione dell’acqua presente nella sospensione di smalto, andando ad aumentarli o diminuirli in base alla necessità.  In questa ottica, la temperatura del supporto ceramico su cui viene deposto lo smalto (la temperatura d’esercizio) è dunque un parametro da tenere in considerazione quando si procede con la scelta della CMC. Quale che sia lo scenario, la tipologia di additivazione deve consentire il conseguimento di un’ottima nebulizzazione in fase di nebulizzazione onde evitare problemi di stesura.

 

 

Con il sistema applicativo ad airless va anche tuttavia detto che oltre all’uso di CMC è spesso necessario ricorrere all’uso contestuale di altre famiglie di additivi utili a garantire, a solo titolo di esempio, un appropriato livellamento dello smalto. Nel caso di applicazioni post stampa digitale, è invece utile ricorrere ad adeguati additivi compatibilizzanti capaci di conciliare la diversa natura degli inchiostri a base solvente con quella degli smalti a base acqua.

 

In termini generali, è sempre necessario l’uso di un additivo legante, sia in fase di macinazione che post macinazione, per garantire allo smalto i giusti valori di coesione, la corretta reologia e un congruo potere legante tra le particelle di smalto dopo la stesura sul supporto ceramico. Tali parametri sono essenziali al fine di evitare il comune fenomeno dello “spolvero” che consiste nella mancanza di coesione delle particelle inorganiche dello smalto, dopo asciugamento. Oltre a quelle messe in campo in fase di macinazione, infatti, gli smalti sono di norma soggetti ad ulteriori additivazioni lungo la linea di smalteria. In particolare, risulta frequente l’immissione di particolari tipi di colle capaci di aumentare il potere legante dello smalto e di incrementarne contestualmente i tempi di asciugamento, migliorando pertanto il livellamento sul supporto. In sostanza, questi additivi fanno sì che le gocce di smalto sprayate sulla superficie possano UNIRSI e SOVRAPPORSI le une alle altre dando origine ad un letto unico ed evitando singole gocciolature che potrebbero risultare alla vista come piccolissimi monticelli (effetto bugnato).

 

 

3. Microorganismi e degradazione degli additivi leganti

Se i valori di densità, viscosità e reologia possono essere in qualche modo gestiti e monitorati, molto più complesso è il controllo – specie durante il processo produttivo – dell’eventuale presenza di microrganismi (in particolare batteri) che, in presenza d’acqua, trovano il proprio nutrimento negli additivi leganti a base di CMC e amidi modificati. A rendere ulteriormente complicata la gestione del problema è che di norma ci si accorge della sua presenza solo nel momento in cui si iniziano a percepire gli odori sgradevoli generati dai metaboliti (gli scarti prodotti dai microrganismi), a degradazione già in corso. A quel punto il danno è fatto. Oltre a generare problemi di natura odorigena, l’azione dei batteri di norma inibisce e intacca anche la funzione delle colle, al punto che in alcuni casi è come se esse fossero del tutto inesistenti all’interno del sistema. Come se non bastasse, i residui metabolici rilasciati all’interno dello smalto sono in grado di produrre difetti non solo di natura applicativa ma anche di natura tecnico-estetica visibili anche in post cottura, come ad esempio la presenza importante di spillature sulla superficie della piastrella.

 

 

4. Azioni preventive e correttive (lo standard)

Come prevenire o tamponare il problema? Vediamo le principali azioni che si possono introdurre.

 

  1. A

Uno degli interventi meno invasivi consiste nell’addizionare allo smalto, direttamente lungo la linea di smalteria, una quantità aggiuntiva di legante, appena prima dell’applicazione. Tale escamotage, tuttavia, nonostante in diversi casi sia utile a ripristinare le caratteristiche iniziali della sospensione, spesso non è in grado di scongiurare possibili difetti post-cottura. Occorre inoltre aggiungere che tale intervento deve avvenire in tempi molto rapidi a causa della velocità con la quale un’eventuale importante quantità di batteri è in grado di degradare l’additivo appena addizionato

 

 

  1. B

Una seconda opzione per scongiurare l’inefficacia degli additivi leganti consiste ovviamente nell’uso di una dose massiccia di biocidi (Kill-dose) così da uccidere ed eliminare TUTTI i microrganismi e ripristinare il potere legante dell’additivo. Questa operazione, tuttavia, se per un verso consente di allungare la vita dello smalto può non essere dall’altro sufficiente a scansare eventuali difetti promossi dalle componenti ormai degradate presenti all’interno dello smalto.

 

 

  1. C

Se nei due casi precedenti l’azione correttiva avviene a degradazione ormai in atto, è ovviamente anche possibile agire in modo preventivo studiando di concerto con il produttore di additivi il mix adeguato di prodotti biocidi/preservanti da aggiungere in macinazione e/o post-macinazione. Uno studio che inevitabilmente deve tenere presente le caratteristiche e le singole specificità dello smalto e del sistema produttivo. L’azione preventiva, tuttavia, non è sempre facile da mettere in pratica essendo molto complesso (se non a volte impossibile) avere un controllo e un monitoraggio a 360 gradi sulla salubrità di tutti i punti di produzione smalti all'interno dello stabilimento. 

 

 

5. Il nuovo scenario: gli additivi sintetici

Una diversa strada per affrontare il problema ed evitare eventuali attacchi batterici che riducano o neutralizzino la funzione degli additivi - una strada radicale capace di risolvere il problema alla radice - è quella di ripensare la progettazione e la formulazione degli additivi stessi. Pensare cioè a nuove categorie di additivi che non siano aggredibili dai microrganismi. Un’attività su cui la ricerca sta a tutti gli effetti indagando da tempo e che, già oggi, ha reso disponibili i suoi primi frutti. Ancora parzialmente acerbi ma, in prospettiva, molto promettenti. Questo diverso tipo di approccio non intende e non può chiaramente eliminare la presenza dei batteri all’interno dei sistemi acquosi, come gli smalti, ma è piuttosto funzionale a contenerne la proliferazione da un lato e a bloccare la possibile alterazione chimica degli additivi dall’altro. Sul piano della ricerca, questa nuova o diversa tipologia di additivi – che a tutti gli effetti potremmo definire TOTALMENTE SINTETICI - richiede un accurato studio del chimismo (insieme dei caratteri chimici di una sostanza composta) unitamente ad un attento monitoraggio del ciclo di vita dei microrganismi, utile a testare la resistenza dei sistemi acquosi presi in esame.

 

Qual è la principale caratteristica di queste nuove famiglie di prodotti e perché non degradano?

 

Partiamo da un’importante premessa, cercando di semplificare.
In linea generale, tutti i prodotti di origine naturale (o naturale-modificata come le CMC) sono spesso nutrimento per i microrganismi a causa della loro natura molecolare che viene facilmente decomposta e degradata dai batteri attraverso una serie di meccanismi di natura biologica. L’uso di MOLECOLE SINTETICHE (dove con sintetico ci si riferisce a singoli monomeri e/o oligomeri fatti opportunamente reagire così da creare e ottenere nuove molecole non esistenti in natura) fa sì che gli stessi microorganismi che sono in grado di demolire le molecole di origine naturale contenute negli additivi non trovino, in questo caso, la chiave d’accesso e/o il meccanismo d’azione per procedere nel loro processo di degradazione. Per semplificare e chiarire ulteriormente la differenza tra i due tipi di molecole facciamo un esempio apparentemente banale ma in realtà illuminante. Immaginiamo il polimero o la molecola naturale (o anche naturale-modificata come la CMC – Carbossimetilcellulosa) come un filo di lana. Il batterio, grazie alle forbici di cui è in possesso (da intendersi come il meccanismo d’azione), sminuzza il filo degradandolo in tanti piccoli pezzi che diventano nutrimento e fonte di cibo. La molecola sintetica dobbiamo invece immaginarla come un filo spinato che ostacola il meccanismo d’azione del batterio (le forbici) e che, non lasciandosi frantumare, non si tramuta in sostentamento.

 

 

 



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