#01 Perché le piastrelle scoppiano nel forno?
1. Il processo
Durante il processo di cottura, le piastrelle iniziano a scaldarsi di norma in modo graduale e costante. Parallelamente al processo di riscaldamento s’innesca, com’è ovvio, il processo di evaporazione dell’acqua. Acqua che si trova sia sulla superficie del pezzo ma anche, e soprattutto, all’interno del corpo ceramico. Tale processo può variare in base alla dimensione e allo spessore del pezzo ceramico ma possiamo affermare che - per potersi sviluppare in modo corretto - deve essere caratterizzato da un aumento costante e calibrato della temperatura all’interno del forno.
Parlando in termini figurati, il processo di evaporazione implica una migrazione dell’acqua dall’interno all’esterno del materiale ceramico. Un percorso progressivo che se si sviluppa secondo corretti parametri non comporta problematiche ma che se segue un andamento non regolare può dare origine a complicazioni. Il processo di evaporazione si sviluppa nella parte iniziale del forno e, nello specifico, nella fase di preriscaldo.
Occorre evidenziare che in questa fase non sono ancora avvenute all’interno dell’impasto quelle trasformazioni chimico fisiche dei componenti organici che portano le argille, i feldspati e le sabbie a fondersi progressivamente tra loro. Non si sono ancora in sostanza innescati quei processi di microfusione che uniscono le sfere dell’impasto e che contraddistinguono il processo di sinterizzazione. Fase che si sviluppa dopo il pre-riscaldo e prima della fase di raffreddamento rapido (durante dunque la fase di cottura).
2. Caratteristiche dell'acqua presente all'interno della ceramica
In un’ottica di semplificazione, è possibile individuare all’interno del corpo ceramico due diverse tipologie di acqua:
- Acqua contenuta nel supporto come umidità residua (acqua non chimicamente legata alle componenti inorganiche della piastrella)
- Acqua di idratazione (parte di acqua legata chimicamente alla struttura del supporto ceramico)
Quest’ultima, essendo legata strutturalmente ad alcune delle componenti inorganiche del supporto necessita – per evaporare – di tempi e temperature superiori a quelli richiesti dall’umidità residua. Per meglio spiegare la ragione di queste diverse tempistiche e temperature ci affidiamo a un esempio preso a prestito dal mondo della cucina. Mondo in cui la chimica gioca un ruolo non di poco conto.Se ad esempio scaldiamo contemporaneamente un bicchiere d’acqua e un bicchiere di gelatina, ci accorgiamo che l’acqua contenuta nella gelatina, a parità di tempo, evaporerà più lentamente essendo essa chimicamente legata alla colla di pesce presente all’interno della miscela gelatinosa.
3. Acqua e gradiente di temperatura
Tornando alla ceramica, come abbiamo visto, l’evaporazione si produce nella fase di pre-riscaldo a causa del calore che aumenta in maniera progressiva e costante sino al raggiungimento dei 300 / 400 °C.
Tale progressivo aumento di calore viene definito GRADIENTE DI TEMPERATURA.
Esso agisce e svolge un ruolo fondamentale sulla corretta modalità di evaporazione dell’acqua. Se il gradiente è lento e costante, l’acqua contenuta all’interno del supporto trova il tempo necessario per migrare ed evaporare in modo corretto e naturale.
Se invece l’aumento della temperatura non è costante o eccessivamente rapido ecco che il materiale ceramico rischia di scoppiare.
Che cosa succede?
Il rischio che si corre è che l’acqua raggiunga troppo rapidamente una temperatura piuttosto elevata (diciamo, molto superiore ai 100°C) andando a provocare quello che volgarmente potremmo definire effetto pentola a pressione. L’acqua, scaldandosi troppo velocemente, si mette in moto producendo una violenta PRESSIONE che a sua volta provoca un fenomeno di forte ESPANSIONE all’interno del corpo ceramico.
La pressione, unitamente all’espansione, è in grado di intaccare le caratteristiche meccaniche del materiale causando prima una DEFORMAZIONE e poi l’ESPLOSIONE del supporto.
Occorre evidenziare che se si mettono a confronto due diverse produzioni ceramiche che presentino gli stessi parametri all’interno del forno (siano cioè caratterizzate dallo stesso gradiente di temperatura) è molto più probabile che il problema si manifesti là dove il supporto contenga una maggiore quantità di acqua (diciamo superiore all’ 1%).
4. Densità del corpo ceramico
Un altro fattore che, unitamente all’evaporazione dell’acqua, può incidere sulla rottura del corpo ceramico è riconducibile alla DENSITÀ del materiale. Le materie prime, in fase di compattazione sotto le presse (o sotto il peso della Continua nel caso di produzione di grandi lastre), subiscono una pressione molto elevata in modo da formare un supporto ceramico che possa sostenere, senza subire danni, tutti i passaggi successivi che si sviluppano lungo i nastri trasportatori della linea produttiva.
Tuttavia, un materiale ad alta densità (diciamo prosaicamente molto compatto), costringe l’acqua di evaporazione ad uno sforzo maggiore durante il suo processo di migrazione dal supporto.
Non è detto che ciò accada ma certamente più la densità è alta, maggiori sono le probabilità che il problema si manifesti.
5. Azioni e soluzioni
Come dunque intervenire per evitare e/o contenere il problema?
In primo luogo occorre rilevare che la risoluzione va - quasi sempre - cercata nelle fasi produttive che precedono il processo di cottura e in particolar modo lungo la linea di smaltatura, all’interno della quale avviene la maggiore immissione di acqua sopra e dentro al corpo ceramico. Proviamo a elencare di seguito le principali azioni possibili.
A) INTERVENTI SULLA REOLOGIA DELLA SOLUZIONE ACQUOSA
Il primo degli interventi è certamente il più complesso e delicato ma allo stesso tempo il più efficace e risolutivo. Si tratta di procedere con un attento studio di laboratorio dei parametri reologici della soluzione, in relazione alle specifiche condizioni della linea di produzione (materie prime in uso, macchinari produttivi, scelta applicativa, caratteristiche tecnico-estetiche del materiale da produrre, etc).
Significa cioè conferire alla soluzione acquosa (sia essa un engobbio, uno smalto, una sospensione di graniglia) i corretti valori di densità, viscosità, limite di scorrimento, etc, che possano combinarsi correttamente con il processo in questione.
Ad esempio, si può riformulare la reologia aumentando la densità di lavoro di smalti ed engobbi che, come sappiamo, contengono importanti percentuali di acqua, cercando – quando possibile – di ridurne i quantitativi.
B) RIDUZIONE DELLA PRESSIONE IN FASE DI PRESSATURA
In questo caso si va ad agire sul peso applicato sulle materie prime inorganiche che vanno a formare il pezzo ceramico in verde.
A solo titolo di esempio, si potrebbe passare da 450 Kg/cm2 a 420 kg/cm2.
Tale riduzione di peso, per quanto possa apparire modesta, impatta sensibilmente sul valore della densità del corpo ceramico. La riduzione di densità (e dunque, potremmo dire grossolanamente, della compattazione del materiale) agevola il processo di migrazione dell’acqua verso l’esterno.
C) SCELTA APPLICATIVA
Un altro modo per “aggirare l’ostacolo”, riducendo le possibilità di rottura del pezzo, è di fare una scelta a monte rispetto al tipo di tecnologia che si intende utilizzare. Un esempio per tutti è il passaggio da una tecnologia a umido, che implica evidentemente l’uso di abbondanti quantitativi d’acqua, a una tecnologia a secco, con il conseguente utilizzo di colla digitale e un’applicazione di graniglia mediante caduta.
D) TEMPI DI PERMANENZA DEL MATERIALE ALL’INTERNO DEI FORNI
La scelta di aumentare il tempo di permanenza del materiale all’interno del forno in modo da agevolare il corretto e più lento processo di evaporazione dell’acqua è certamente - sul piano teorico - una strada percorribile. Qui la indichiamo perché rileva in modo lampante come un tempo di permanenza dilatato possa incidere positivamente sulla scomparsa del problema preso in esame.
E’ tuttavia altrettanto evidente, che tale opzione risulta il più delle volte impraticabile andando essa ad impattare negativamente sulla produttività del processo industriale.
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